Spesso mi sento dire che sono fortunato a stare a due passi dal mare, dalla montagna, dalla storia ecc. Spesso ho l’impressione che certuni ritengano noi siciliani un popolo sempre in vacanza solo perché altri vengono qui a passar la vacanza. È un pensiero condivisibile e non posso criticarlo. D’altronde, anche a me capita di invidiare quelli che stanno alle Bermuda.
È ovvio che la Sicilia non sia solo quanto appena detto; in realtà, è un posto dove la gente lavora molto (spesso) e guadagna poco (altrettanto spesso).
È il posto dove opero come perito assicurativo.
Scrivo questo articolo “spensierato” per raccontare un po’ della mia terra e della professione: è parziale, incompleto e per nulla scientifico, però è schietto: ciò che vedo e che sento dal mio cantuccio.
In Sicilia le attività industriali sono modeste e la maggior parte dell’economia è frammentata in fragili imprese commerciali autonome. Di fronte a loro si ergono poi molte attività in franchising, molta logistica che opera per i big del mercato mondiale e le propaggini di alcuni grandi gruppi industriali. La panacea del turismo, dell’enogastronomia e del buon vivere ancora stenta a risolvere tutti i nostri problemi.
In Sicilia il mercato assicurativo è visto con sospetto.
I privati già si sentono tassati dalla RC auto obbligatoria (con premi fra i più alti di Italia) figuriamoci dunque il loro approccio nei confronti anche solo di una semplice polizza casa. Nei pochi casi in cui viene stipulata, spesso è perché il figlio, cugino, parente dell’Assicurato è subagente o procuratore e deve raggiungere le sue quote di produzione.
Le aziende vedono i premi assicurativi come spese e, si sa, se le cose vanno male le spese vanno ridotte (e in Sicilia le cose non vanno proprio benissimo). La gran parte delle piccole attività non è assicurata o stipula blande coperture sulla responsabilità civile.
Insomma, il mercato è ancora dominato pesantemente dalle polizze sulle automobili, dagli incidenti stradali e dalle truffe degli specchietti. In questo scenario, il perito non può che essere quello dei parafanghi.
Forse esagero. Però è un fatto che la maggior parte delle persone a cui mi presento come perito-assicurativo-non-auto mostra una faccia stralunata e chiede: “e allora di cosa?”
Con un mercato così arcigno i soggetti assicurati seguono gli stessi contorni.
Per le piccole attività, l’ho già detto: il cugino subagente, ecc.
I gestori dei negozi in franchising non sanno quasi nulla della polizza stipulata dalla casa madre.
I grandi gruppi industriali sono invece ben organizzati, anche se troppo spesso la gestione del sinistro migra rapidamente verso le zone di influenza delle rispettive direzioni.
In tutti, però (con le dovute eccezioni, per carità), rilevo sempre lo stesso annoso problema: qui gli assicurati non hanno idea di come si sono assicurati, ma sanno bene perché: ritengono che le polizze debbano coprire ogni evento, sempre, fino all’ultimo centesimo e che non sia contemplabile alcuna esclusione.
E quando provi a spiegare all’assicurato che una certa quota di danno rimane a suo carico, parte sempre lo stesso cicalino: “e allora che mi sono assicurato a fare?”. Chissà se anche da altre parti d’Italia c’è questo cicalino…
Nella maggior parte dei casi, comunque, non si tratta di malafede, ma di semplice ignoranza e ingenuità.
Giusto per completare il quadro delle lamentele, ci si mette anche il fatto che la Sicilia è un territorio vasto e montagnoso e la densità di sinistri è relativamente bassa. Ecco allora che il perito assicurativo deve macinare molti chilometri fra una perizia e l’altra, si scorda l’economia di scala e le spese che sostiene si avvicinano pericolosamente alle parcelle (quando non le superano).
Si parla sempre più spesso di smartworking, di industria 4.0, di Internet of Things, di Cyber Risk e di così tante cose con nomignoli stravaganti, che viene da pensare che il futuro che ci immaginavamo da piccoli sia già passato. Invece, gli effetti pratici di queste (belle) idee tardano a presentarsi nella vita quotidiana e non hanno pressoché influenza sensibile sui rapporti interpersonali e sulla conduzione delle cose. Ma questo, mi sa, vale per la Sicilia come per gran parte d’Italia e del Mondo.
Ecco perchè fare il perito-assicurativo-non-auto nella mia regione significa doversi barcamenare fra tutte queste difficoltà e quante altre ne verranno in futuro. Richiede impegno, passione, “conoscenza del territorio e di chi vi abita”, “saperci fare”, essere autorevole, convincente, giusto. Molto diverso dal resto di Italia? Non posso rispondere con cognizione di causa, ma direi di no: immagino che anche in Campania, Veneto, Liguria ecc. sia lo stesso.
Nonostante quello che può sembrare, non mi lamento della Sicilia né della professione che ho scelto. Anzi, sono proprio contento di entrambi. Qualche vantaggio a stare qui ci sarà pure: il clima, il mare e il sole, per essere banale; il cibo, per essere frivolo; la gente (nonostante tutto), per essere melodrammatico.
E poi… dopo una giornata di riunioni in cantiere con CTU e CTP, a luglio, tutti agitati e accaldati, finisci la giornata, prendi il costume dal bagagliaio e ti butti a mare: forse è per questo che mi piace questo lavoro.