La clausola “claims made” e la tutela del consumatore

La clausola “claims made” e la tutela del consumatore

Dal punto di vista del loss adjuster, la clausola claims made assolve a una funzione fondamentale.

Spostando l’individuazione temporale del sinistro dal verificarsi del fatto alla ricezione da parte dell’assicurato della contestazione di danno, permette di porre in copertura eventi dannosi “omissivi” e di “condotta”.

Si pensi all’attività di un Direttore Lavori; il sinistro a lui ascrivibile è spesso dovuto a una mancata vigilanza (omissione) che si protrae durante il cantiere (condotta). Poiché non si identifica in questi casi il momento preciso in cui si verifica il danno, essendo la condotta omissiva nel suo insieme a determinare la responsabilità del professionista, la clausola claims made definisce i termini di operatività della polizza con una precisione ed efficacia non raggiungibili nella formulazione loss occurrence.

La clausola claims made è per questo molto diffusa e si declina nelle due formule che, semplificando, possiamo così schematizzare:

  1. clausole c.d. pure: destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito.
  2. clausole c.d. miste o impure: prevedono l’operatività della copertura assicurativa per eventi accaduti e richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia a condotte poste in essere anteriormente, in genere due o tre anni, dalla stipula della polizza;

Negli ultimi anni la clausola è stata oggetto di un acceso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, con la contrapposizione di due posizioni agli antipodi.

Secondo alcuni la clausola claims made è nulla, in quanto l’art. 1917 CC che regola l’assicurazione della responsabilità civile, fa riferimento all’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato di quanto lo stesso sia tenuto a pagare in conseguenza di un “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”. La claims made, non adottando quale criterio di operatività l’accadimento del fatto, ovvero spostando il rischio dall’evento di danno alla denuncia dello stesso, sarebbe quindi nulla, in quanto derogatoria del citato principio contenuto nell’art. 1917 cc.

Altri hanno sostenuto una tesi opposta: l’alea su cui è fondato il contratto assicurativo, non è ravvisata da costoro nel fatto illecito commesso dall’assicurato, ma nella richiesta risarcitoria del danneggiato.

Secondo questa tesi è da valutare l’effettivo danno al patrimonio dell’assicurato, che si concretizza solo nel momento in cui il danneggiato decide di azionare la pretesa risarcitoria, anche se la stessa si basa su un fatto illecito precedente alla stipula del contratto.

La Suprema Corte pronunciandosi sulla questione ha ritenuto valide le clausole claims made, (Cass., 15 marzo 2005 n. 5624) data la libertà e l’autonomia contrattuale che permette alle parti la sottoscrizione di contratti assicurativi atipici, ovvero non rispondenti al ‘tipo’ disciplinato dalla legge.

Con la recente sentenza n. 9140 la Cassazione a Sezioni Unite ha ulteriormente confermato tale orientamento: la clausola va considerata come un elemento atipico inserito in un contesto assolutamente tipico del contratto ex art. 1917 CC.. Si tratta in sostanza di una libera pattuizione tra privati che non compromette le regole concorrenziali o limita i diritti di una parte. I giudici hanno inoltre riconosciuto la piena validità delle clausole claims made “impure”.

Fin qui la sentenza ha confermato un orientamento già noto e condiviso dalla gran parte degli operatori. È però nella parte conclusiva della sentenza che la Cassazione a Sezioni unite ha introdotto un elemento di novità, che sta dando origine a non poche critiche, ponendo in relazione la compatibilità della clausola claims made con l’obbligo del professionista di assicurarsi per l’esercizio della sua attività.

Il pericolo ravvisato dai giudici è dato dal fatto che il sinistro non è in copertura se denunciato oltre i limiti temporali previsti, per cui si possono determinare dei buchi in cui l’assicurato non gode della protezione assicurativa. La questione non attiene però ai rapporti tra compagnia e assicurato, ma quelli tra professionista e cliente, dato che l’obbligo di assicurazione per la r.c. professionale è stato introdotto a tutela del terzo.

In altri termini se è formulata una richiesta risarcitoria nei confronti dell’assicurato quando la vigenza del contratto è conclusa, il professionista risulterà privo di copertura assicurativa e il terzo danneggiato potrebbe risultare non tutelato.

La sentenza citata (Cassazione ss.uu. n.9140 del 06.05.2016) ha avuto origine dal contenzioso sorto tra un ente ospedaliero che, convenuto in giudizio per un errore medico, ha chiamato in manleva i suoi assicuratori di R.C. professionale. Le società coassicuratrici si sono opposte alla richiesta invocando il disposto della clausola claims made che esclude l’operatività contrattuale per le richieste risarcitorie formulate oltre i limiti temporali previsti (la polizza aveva cessato di operare nel 1997, mentre la richiesta del paziente danneggiato è stata inoltrata all’ospedale nel 2001).

Dopo che in primo grado le obiezioni delle compagnie assicuratrici sono state respinte, con accoglimento della richiesta di manleva dell’assicurato, in appello sono state accolte le ragioni degli assicuratori.

L’ente ospedaliero ha quindi proposto ricorso per Cassazione, ritenendo vessatoria la clausola claims made, in quanto espressione di una limitazione di responsabilità dell’assicuratore.

La Suprema Corte, giunge ora all’enunciazione del seguente principio di diritto secondo cui ‘’..nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata’’.

Quindi, essendo stata resa obbligatoria l’assicurazione professionale in alcuni settori dall’art. 3, comma 5, del d. l. n. 138 del 2011; ribadito tale obbligo nel successivo D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, la Corte sottolinea l’incongruenza di un obbligo in capo al professionista a cui non segua un corrispondente obbligo a contrarre per le compagnie assicuratrici. Inoltre una polizza che espone il professionista a buchi di copertura non risulta idonea, secondo i giudici della Suprema Corte, a garantire il terzo danneggiato.

L’assicuratore di R.C. Professionale può dunque da oggi essere chiamato in manleva – in deroga a una precisa clausola contrattuale che definisce il periodo di copertura – in base a un contratto estinto da tempo, di cui probabilmente non ha più nemmeno memoria nei suoi archivi.

In attesa che il problema sia affrontato e risolto a livello istituzionale, sarebbe opportuno che gli ordini professionali si attivino al fine di stipulare convenzioni che, tenendo conto di ogni elemento, garantiscano la migliore tutela sia ai “consumatori” che ai “professionisti”.